In una recente intervista, lo psichiatra Vittorino Andreoli ha dichiarato che l’Italia è malata di mente. Tale affermazione ha solleticato la nostra curiosità e quindi abbiamo provato a ragionarci in termini Ayurvedici, per verificare se anche questa antica medicina arrivi alla stessa conclusione del professore. Secondo la Charaka Samitha, si è in presenza di unmada (disturbi mentali) quando è presente ilprajinaparadha (errore dell’intelletto). Per far sì che questo si verifichi, i fattori che ne consentono la rilevazione dhee, dhirti e smirti devono essere individuabili. Come esaminato in un articolo pubblicato su questo sito (precedente articolo), sono evidenziabili tutti e tre gli elementi descritti e ciò darebbe ragione allo psichiatra.
Abbiamo sottoposto il nostro ragionamento alla psichiatra Donatella Lai - che oltre ad essere dirigente medico presso la ASL di Cagliari è anche medico Ayurvedico, formatasi sia in Italia che in India – per capire se le nostre deduzioni sono corrette e per comprendere meglio quale potrebbe essere la lettura Ayurvedica di quanto esposto da Andreoli. La dottoressa Lai ci ha concesso una lunga intervista che proponiamo in due unità.
PRIMA UNITA’
Dottoressa Lai, si sente di condividere innanzitutto il ragionamento del professor Andreoli sulla malattia mentale dell’Italia?
Anche a me aveva incuriosito molto la presa di posizione di Andreoli, ma devo dire che quello che mi aveva suscitato è il ricordo di quanto avevo letto della biografia di Jung. Lui aveva sognato una volta una marea di sangue che invadeva e annegava l'Europa e questo sei mesi prima della prima guerra mondiale. Non sono sicura che sia possibile cambiare le cose, per quanto sono convinta che sia necessario e doveroso provarci.
Dhee, dhirti e smirti. Riconosce questi fattori nelle dinamiche italiane? E se sì, conferma la presenza di prajinaparadha?
Ricordiamo cosa sono queste tre funzioni della Buddhi.
Dhī è la funzione discriminante, ciò che consente di distinguere tra ciò che è utile e adatto da ciò che è dannoso o inadatto (non tanto inteso in termini moralistici, ma proprio in termini di ciò che ci consente o ci impedisce di seguire il dharma).
Dhṛtiè la volontà e la fermezza, è ciò che ci consente di trasferire in atti le nostre conoscenze.
Smṛtiè la funzione della memoria, intesa in senso anche più vasto che la semplice memoria individuale. É per esempio la memoria storica, la capacità di ricordare il senso delle tradizioni del luogo dove viviamo.
Queste tre funzioni della Buddhi ci permettono di dare un senso a ciò che percepiamo, e questo senso è legato al collegamento che abbiamo attraverso la Buddhi con l'Ātman individuale e con l'Ātman universale. Come abbiamo imparato studiando l'Āyurveda, il Prajñāparāda si verifica ogni volta che il nostro ego - l'Ahaṃkāra - non fa passare le percezioni che raccoglie da Manas, e queste non prendono contatto con l'Ātman restando autoreferenziali e limitate. In questo senso direi che la realtà odierna – temo non solo quella italiana – sia fortemente caratterizzata da Prajñāparāda. Tutto resta all'interno di un circuito egotico, a volte individuale, a volte legato ad un ego collettivo di gruppi di appartenenza. Manca una comunicazione più ampia che consenta di vedere le situazioni attraverso un occhio impersonale e omnicomprensivo, che espande il focus e impedisce che venga concentrato solo su un punto. Non dimentichiamoci che la mancanza di comunicazione è la ragione originaria dello sviluppo di cellule tumorali nell'organismo. Quando alcune cellule della società smettono di comunicare con gruppi cellulari limitrofi, sono destinate a trasformarsi in cancro: invasione, moltiplicazione incontrollata, ritorno a stati di maturazione primitivi.
Andreoli in quell’intervista ad un certo punto suggerisce come unica soluzione la rivoluzione. Rajas è l’unica opzione possibile?
Sembrerebbe sì, ma non credo che gli italiani siano capaci di fare quello che fanno per esempio i francesi e questo proprio a causa del nostro individualismo sfrenato.
Nessuna terapia possibile quindi per questi unmada? Concorda con l'opinione di Andreoli?
La questione è complessa, perché un conto è curare il singolo, un conto è curare una società. Curare il singolo aiuta anche la società ma in questo caso i tempi possono diventare molto lunghi. Personalmente a me ha aiutato molto conoscere la Bhagavad Gita e la filosofia dell'azione senza aspettarsi risultati, perché ora sono consapevole che io devo fare il mio dovere e lasciarlo al destino. Ed è quello che faccio alla fine.
Se ci sono risultati sono contenta, altrimenti comunque il mio dovere l'ho fatto e sono a posto con me stessa.
Nessuna speranza quindi? Eppure Ayurveda è innanzitutto Vita e a quella andrebbe sempre il tributo della Speranza, intesa come virtù.
Io ho una mia visione personale che forse può risultare un po' strana. Da un lato ci sono io, le mie speranze, le aspettative per un futuro migliore soprattutto per mia figlia.
Dall'altro lato c'è qualcosa in me che ha la consapevolezza che siamo veramente dei granelli di sabbia nel deserto, piccoli, destinati a essere portati via dal vento e che la vita è qualcosa di immensamente più vasto che non le esistenze umane.
Nella Charaka Samitha è scritto che “l’uomo è la misura dell’universo” (Shar., V, 3) intendendo che siamo fatti della stessa sostanza dell’universo. Di sogni, direbbe Shakespeare, ma anche quelli ne fanno parte. Essere la "misura del tutto" ci porta a credere di essere il tutto stesso?
No, non credo che le cose stiano in questi termini. Se noi avessimo presente che siamo la misura del tutto, rispetteremmo il tutto in ogni sua forma mentre invece non è quello che succede. Inoltre avremmo ben chiaro il fatto che siamo in una posizione molto relativa rispetto all'Universo stesso. Invece l'essere umano tende a considerare se stesso il centro dell'Universo e vive nella convinzione che tutto ciò che lo circonda esista a suo beneficio. Il creato non è parte di noi, ma diventa a questo punto qualcosa di separato che esiste in quanto a nostro servizio, e quando ciò non accade lo distruggiamo perché non lo consideriamo degno di esistere.
(continua)