Per avvicinarci correttamente all’ayurveda e capire il perché dell’approccio olistico alla persona, occorre prendere le mosse dal Sàmkhya, uno dei sei darçana (visione) della filosofia indiana.
Con mente aperta dobbiamo indagare la straordinaria impalcatura cosmologica di questa visione filosofica e, accettandola come valida ipotesi di lavoro, verificarne l’impatto sul modo di relazionarci con gli esseri senzienti. E’ bene ricordare che darçana equivale “a punto di vista”, una maniera di cogliere la verità da una certa angolazione, non quindi un sistema dogmatico da recepire così com’è, per fede o acriticamente; occorre, ripeto, mente aperta, adattare l’ipotesi alla propria sensibilità, consapevolezza, realizzazione, pronti, se necessario, ad arricchire la “visione” del Sàmkhya con le altre “visioni” della speculazione indiana. Lo stesso yoga darçana nell’ispirarsi al Sàmkhya ne modifica alcuni punti fondamentali e non lo recepisce in modo fideistico.
Quest’avvertenza è indirizzata soprattutto a coloro che abbracciano le religioni e filosofie orientali, recando seco le categorie della religione di provenienza con il medesimo fervore dogmatico e, a volte, fanatico.
Come si manifesta dunque la “creazione”? Inizialmente esiste prakriti, la materia primordiale, indifferenziata, perfettamente omogenea ed uguale a se stessa in ogni dove, quella prakriti che è la Sostanza, il fondamento dell’universo che si manifesterà da lì a poco. Come? La materia primordiale è costituita dai tre guna o sostanze: sattva luminoso ed intelligente, rajas dinamico ed attivo, tamas oscuro ed inerte. All’inizio della “creazione” le tre sostanze sono distribuite nella medesima composizione percentuale, poi si rompe l’equilibrio tra di esse, si modificano i rapporti di combinazione e si avvia il parinama, l’evoluzione cosmica, la quale consiste in un graduale processo di condensazione.
La prima modificazione della prakriti è il principio pensante, a livello cosmico definito mahat, a livello individuale buddhi, poi il passo successivo è ahamkara che, pur non avendo in questo stadio evolutivo alcuna esperienza personale, contiene in sé la consapevolezza di essere un ego ed è in grado di unirsi agli oggetti in un rapporto di appropriazione.
I rapporti di combinazione tra i guna continuano a modificarsi e da ahamkara si dipartono tre diverse linee evolutive, a seconda del guna che prevale in quel momento:
1) Linea sensoriale conoscitiva, sattvica;
2) Linea sensoriale conativa, rajasica;
3) Linea degli elementi sottili o tanmatra, tamasica.
I cinque sensi conoscitivi sono: udito, tatto, vista, olfatto, gusto.
Queste modalità conoscitive si realizzeranno rispettivamente nelle orecchie, nella pelle, negli occhi, nel naso, nella lingua.
I cinque sensi conativi od organi di azione sono: voce, piedi, mani, organo escretore, organo procreatore.
Un altro senso, conoscitivo e conativo insieme, è il manas che coordina ed integra le diverse afferenze sensoriali provenienti dall’esterno.
I cinque tanmatra sono: çabda (suono), sparsha (sensibilità tattile), rupa (forma o colore), gandha (odore), rasa (sapore).
I tanmatra sono i substrati o nuclei di condensazione della materia solida, degli atomi (paramanu) e delle molecole (sthulabhutani) che, aggregandosi secondo un certo ordine, daranno origine ai cinque grandi elementi (panchamahabhuta) di cui sono costituiti tutte le cose : akasha (spazio o etere), vayu (aria), tejas (fuoco), prithivi (terra), jala (acqua).
Nel corpo degli esseri viventi questi elementi si combinano per formare i tre fluidi corporei o dosha: kapha, pitta, vata.
Dunque il processo di fenomenizzazione, cioè di manifestazione soggettiva ed oggettiva della materia, è un processo di condensazione graduale, dal sottile al grossolano. E’ molto importante capire questo, perché comunemente si confondono i pensieri, le emozioni, i sentimenti, le volizioni per il nostro Sé, ed invece tra il nostro corpo ed il nostro pensiero vi è soltanto una differenza di gradazione, l’uno e l’altro sono prakriti, la quale ha in sé tutte le potenzialità che si attuano nel processo creativo, anche se dovrebbe essere chiaro che, nel Sàmkhyadarçana, è improprio parlare di creazione in quanto tutto è già contenuto nella prakriti e niente è creato, posto in essere dal nulla, ma manifestato in un rapporto di causa ed effetto. Bisogna ricordare però che la speculazione indiana successiva, per esempio con il vedanta, ha apportato notevoli modifiche a questo modo di concepire la realtà, attribuendo un’enfasi notevole all’attività creatrice di dio.
Finora ho parlato della prakriti, in quanto desideravo che il lettore concentrasse la sua attenzione sul dinamismo evolutivo della materia, dovuto al gioco dei tre guna: le molteplici combinazioni relative tra sattva, rajas e tamas hanno dato origine all’universo con tutto quel che contiene.
L’evoluzione cosmica è casuale oppure stimolata da qualcosa al di fuori della prakriti? Quest’ultima abbandona il riposo cosmico istintivamente, ma il parinàma va in una direzione ben precisa, i fenomeni si susseguono con sequenze ordinate ed acquistano complessità strutturali, via via di grado maggiore.
Ecco comparire allora sulla scena un altro protagonista, il purusha, il puro spirito. Possiamo intendere il purusha in tanti modi, a seconda delle nostre radici culturali, ma qui debbo limitarmi ad intenderlo come principio conscio universale che indirizza la prakriti verso un fine determinato. Infatti il Sàmkhya è ateo, nella sua visione non c’è posto per dio, ma il purusha acquisterà una valenza maggiore nel pensiero indiano successivo.
Prakriti e purusha sono due realtà completamente diverse, la differenza è di ordine ontologico ed è difficile spiegare, dal punto di vista del Sàmkhya, come queste due realtà possano relazionarsi. Sembra tuttavia che tra le due realtà vi sia un’attrazione simpatetica, yogyata, cioè tra il Sé e l’intelligenza c’è una relazione “elettromagnetica”: la buddhi ha la proprietà di riflettere il purusha,
ed è propria questa riflessione del Sé nell’intelligenza, che ci consente di comprendere l’universo e di prenderne coscienza.
L’ayurveda, ispirandosi al Sàmkhya, ma anche il lettore che mi ha seguito fino a qui potrà trarre le stesse conseguenze, concepisce l’uomo come un insieme di kosha (involucri) di diversa consistenza materiale, ognuno con le proprie funzioni e, in particolare, il più sottile aspetto della prakriti fa da ricettacolo al nostro vero Sé, cioè il più recondito degli involucri, anandamayakosha, è limitrofo al purusha, al nucleo immortale dell’essere umano, all’anima: “L’anima non conosce né la nascita, né la morte. Viva, non smette mai di esistere. Non nata, immortale, originale, eterna, non ebbe mai inizio e non avrà mai fine. Non muore con il corpo” (Bhagavad Gita).