Abbiamo visto come nel Sàmkhya darshana si passi dall’essere alla manifestazione dell’esistere, come le potenzialità della prakriti cioè si estrinsechino e si attuino completamente nel processo di graduale condensazione della materia che si organizza in forme sempre più complesse ed elaborate.
La prakriti nel corso del suo dinamismo evolutivo abbandona la condizione metafisica del puro essere, perviene allo stato puramente soggettivo, emerge poi sul piano dell’oggettività con la formazione dei paramanu (atomi) e degli sthulabuthani (molecole) ed infine manifesta il purusha con la realizzazione della vita.
Quel che dobbiamo chiederci è se questa visione cosmologica sia una fantastica costruzione mentale, una delle tante cosmogonie in cui si intrecciano miti e leggende che, pure con il loro innegabile valore simbolico e semantico, non hanno alcuna validità scientifica oppure se possieda i requisiti di una teoria compiuta.
A prescindere dalle complicatissime considerazioni matematico-fisiche della Cosmologia contemporanea, gli scienziati ipotizzano che l’universo si sia originato dal big bang, una grandiosa deflagrazione cosmica in grado di avviare il processo graduale di condensazione della materia con la formazione dei primi due elementi della Tavola Periodica: Idrogeno (H) ed Elio (He). Le stelle di quest’universo primordiale, stelle di prima generazione, bruciarono al loro interno i due elementi suddetti in reazioni termonucleari, nel corso di miliardi di anni, e da queste violente combustioni si originarono elementi più pesanti (con un maggior numero di protoni), primi fra tutti Carbonio (C), Ossigeno (O) ed Azoto (N) e successivamente tutti gli altri elementi. A questo punto dell’evoluzione cosmica, man mano che le stelle concludevano il loro ciclo vitale entrando nella fase terminale di novae e supernovae, esplosero disseminando nello spazio gli elementi più pesanti, a partire dai quali si formarono le stelle di seconda generazione corredati da sistemi planetari in grado di ospitare la vita.
Riassumendo, la vita per palesarsi necessita di grandi e complesse strutture molecolari (proteine, lipidi, carboidrati, acidi nucleici) che si possono formare soltanto a partire da certi elementi. Le stelle di prima generazione, costituite solo di Idrogeno ed Elio, non avrebbero potuto generare alcuna biochimica e dunque la vita è un fenomeno delle stelle di seconda generazione, quando cioè si manifestarono gli elementi pesanti.
Questa teoria contemporanea evidenzia un processo evolutivo, lento e progressivo, che dall’energia omogenea primordiale, simile alla prakriti indifferenziata (avyakta), per mezzo del big bang, paragonabile alla tensione istintiva ed irrazionale che rompe l’equilibrio tra i guna, conduce alla graduale condensazione della materia. Possiamo affermare dunque il valore della visione cosmologica del Samkhyadarçana e la sua validità attuale.
Anche la filosofia occidentale si è occupata del problema dell’essere in quanto tale e dell’esistere ed occorre ricordare innanzitutto Aristotele, il più grande filosofo dell’antichità e Heidegger, il più letto e studiato filosofo del Novecento. Quest’ultimo, in particolare, facendo coincidere l’essere con il nulla (dell’ente), si avvicina molto e chiarifica concettualmente, a sua insaputa, il nirvana buddhista che è nullo rispetto alla realtà condizionata e non ha quindi alcuna valenza nichilistica. Tuttavia le speculazioni metafisiche occidentali, sebbene a volte molto suggestive, non hanno conseguito risultati così pregnanti come quelle orientali.
Analizziamo adesso con maggiore attenzione la fase finale del processo di addensamento della prakriti. Come si formano i panchamahabhuta e quale relazione hanno con l’universo?
La prakriti, quando predomina tamas, si evolve nei nuclei genetici della materia solida: çabda (suono), sparsha (sensibilità tattile), rupa (forma o colore), rasa (sapore), gandha (odore).
Per primo si materializza Akasha (spazio, etere) la cui genesi è indotta da çabda, poi al tanmatra sparsha più çabda corrisponde Vayu (aria), al tanmatra rupa più sparsha più çabda corrisponde Tejas (fuoco), al tanmatra rasa più rupa più sparsha più çabda corrisponde Jala (acqua) ed infine a gandha più tutti gli altri tanmatra corrisponde Prithivi.
La manifestazione dei panchamahabhuta, degli atomi fondamentali della materia, segue un percorso preciso fino alla condensazione e stabilità estrema della terra. Il Sàmkhya immagina che all’orizzonte dell’oggettività emerga dapprima lo spazio, che poi il dinamismo dei guna generi il vento il quale con il suo attrito favorisce il fuoco che addensando la prakriti conduce all’acqua e questa infine alla terra.
A questo punto, considerata la genesi dei panchamahabhuta e confrontandoli con i cinque sensi conoscitivi: udito, tatto, vista, gusto, olfatto e con i corrispondenti organi di percezione (panchajinanendriyani) possiamo costruire la seguente tabella di relazioni che il Lettore attento non avrà difficoltà a comprendere:
Panchamahabhuta |
Tanmatra |
Senso conoscitivo |
panchajinanendriyani |
Akasha (spazio, etere)) |
Çabda (suono) |
udito |
orecchie |
Vayu (aria) |
Sparsha (sensibilità tattile) |
tatto |
pelle |
Tejas (fuoco) |
Rupa (colore, forma) |
vista |
occhi |
Jala (acqua) |
Rasa (sapore) |
gusto |
lingua |
Prithivi (terra) |
Gandha (odore) |
odore |
naso |
Dunque, per l’Ayurveda, gli esseri senzienti ricapitolano l’universo intero e l’uomo, come avrebbero detto i filosofi umanisti e rinascimentali, è un microcosmo che non può essere compreso a prescindere dalle dinamiche evolutive del Sàmkhya darçana.
I panchamahabhuta, nel costituire le strutture anatomo-fisiologiche degli organismi viventi, danno origine ai tre fluidi corporei o dosha aggregandosi tra loro a due a due: akasha e vayu formano Vata, tejas e jala costituiscono Pitta, jala e prithivi danno Kapha.